di Diego Del Pozzo

Nel mondo del fumetto italiano è sempre più raro imbattersi in personaggi che riescano ad abbinare alla maturità dello sguardo “d’autore” verso i problemi trattati lo schietto entusiasmo e la tagliente ironia del fan incallito. Chiacchierare con Leo Ortolani significa, appunto, ripercorrere la storia recente dei comic books all’italiana dal duplice punto di vista dell’industria e del semplice appassionato.

Come nasce il fenomeno Leo Ortolani?
Fin dall’inizio, mi sono reso conto di come l’ambiente del fumetto italiano, nel bene e nel male, sia una grande – ma, al tempo stesso, molto ristretta – famiglia, dove se sei notato da qualcuno, pian pianino ti notano anche gli altri, come in una reazione a catena. Nel mio caso tutto è cominciato con una breve storiella su Spot, un supplemento de L’Eternauta, dopo avere partecipato a un concorso per giovani autori, nel 1990. Ebbi la fortuna di vincere e di partecipare alla premiazione di Lucca – tra l’altro, fu quella la mia prima volta alla Mostra – dove, per un disguido con l’albergo, mi capitò di conoscere i ragazzi di Made in Usa, la storica fanzine pisana. Cominciai a collaborare con loro per alcune brevi avventure di pseudo-supereroi Marvel e, in quell’occasione, incontrai Luca Boschi, che mi portò a Starcomìx, che all’epoca curava per la Star Comics. Contemporaneamente, iniziai a collaborare con Totem, per cui realizzai alcune serie che recupererò tra breve per la Collection: si tratta di Le meraviglie della natura, acida sequenza di casi umani; e poi Gli intaccabili e le avventure del Clan, entrambe ispirate al mio gruppo di amici. Dopo un progetto mai uscito per la Eden di Milano – si chiamava Lupo Mannaggia ed era una parodia di Lupo Alberto ideata insieme a Luigi Simeoni – decisi di dedicarmi completamente a Rat-Man, che tra il 1990 ed il 1995 ha fatto capolino su Spot e Made in Usa.

Avevi già capito che era la tua carta vincente?
Avevo notato un certo interesse nei confronti del personaggio, per quanto nel giro ristretto degli addetti ai lavori, e decisi di puntare su di lui. Optai per la formula dell’autoproduzione, in modo da raggiungere direttamente, senza nessuna mediazione, il pubblico, che considero l’unico giudice in grado di decidere della qualità di un fumetto. Dopo un accordo con Marcello Toninelli Rat-Man uscì per la Ned 50, prima di “accasarsi” presso Bande Dessinée. Il successo crescente del personaggio è testimoniato dal fatto che, dalle circa 600 copie vendute del primo numero, siamo arrivati alle 2.700 del dodicesimo, l’ultimo uscito come autoproduzione.

Leggendo Rat-Man i primi modelli che vengono in mente sono Batman e L’Uomo Ragno.
In realtà ho sempre pensato un poco di più all’Uomo Ragno, perché – ti confesso – di Batman non ho mai letto nemmeno una storia. Tra l’altro, la prima apparizione di Rat-Man è del 1989, in contemporanea con il primo film, quello di Tim Burton, che io, però, ho visto solo in seguito e in videocassetta. Le citazioni dell’uomo pipistrello sono più che altro un gioco che mi piace portare avanti fin dai tempi del concorso su L’Eternauta. Mi vergogno un po’ anche dell’identità segreta da miliardario del mio personaggio, tanto che non amo molto farlo apparire in borghese. Sto pensando addirittura di fargli subire una bancarotta e trasformarlo definitivamente in un vero eroe metropolitano, anche quando è in abiti civili. Dell’Uomo Ragno mi piace proprio quest’aspetto metropolitano, che cercherò di recuperare sia nei testi che nei disegni.

D’altra parte, anche graficamente ti riescono molto bene proprio gli scenari metropolitani, meglio se oscuri e inquietanti.
È questa la realtà che conosciamo meglio, poiché ogni giorno ci troviamo ad affrontare i problemi della vita in una grande città. È logico che io trovi più normale la descrizione di locali notturni e bar che, magari, posso aver frequentato con degli amici. Penso che ciascuno di noi, in un certo senso, possa essere definito un eroe metropolitano.

Uno dei motivi del successo di Rat-man è rappresentato anche dai suoi continui team-up con tanti volti noti dell’universo Marvel.
Questa è una cosa che mi diverte molto. Io, da lettore, mi sono avvicinato prima all’Uomo Ragno – con un albo gigante della Corno – e poi ai Fantastici Quattro. Da allora ho letto regolarmente fumetti di supereroi e mi piace dare le mie versioni di ognuno di loro. Naturalmente scelgo personaggi su cui poter lavorare – come Wolverine, Silver Surfer, Destino – perché, è ovvio che utilizzandoli in un contesto “rat-maniano”, metto in evidenza solo alcuni loro aspetti, a seconda delle esigenze della narrazione. Il “mio” Dottor Destino, per esempio, è il frutto della psiche tormentata dell’adolescente che si cela in ciascuno di noi, il sogno di potenza di ogni ragazzino quando si sente non accettato dagli altri. Penso che Destino sia una figura estremamente tragica e, comunque, è uno dei miei preferiti. Amo i Fantastici Quattro soprattutto perché c’è lui.

Alcune pose del tuo Dottor Destino sono anche quanto di più kirbiano tu abbia mai realizzato.
Dopo aver scoperto Jack Kirby sui Fantastici Quattro della Corno per me è cambiato tutto. Un po’ per volta mi sto procurando ogni suo albo che riesco a trovare, girando anche per i negozi di fumetti usati. Recentemente ho comprato diversi numeri de Gli Eterni e la serie completa di Kamandi. Quando leggo una storia di Kirby non so nemmeno come “clonarla”. La cosa che mi sorprende ogni volta è il dinamismo delle singole inquadrature. È in quei momenti che, puntualmente, comincio a riflettere su come rendere meno statiche le mie sequenze, e inizio a pormi il problema di cosa privilegiare tra azione pura e gag comiche.

Probabilmente, però, il lettore di Rat-Man vuole innanzitutto divertirsi.
È quello che mi dico anch’io. Ai lettori piace proprio il lato in stile “Simpson” del mio personaggio.

Pensi che far ridere sia più difficile che narrare storie di azione pura?
Il tipo di lavoro che faccio con Rat-Man si basa, fondamentalmente, sulla presa in giro dei tic dei supereroi. Per non annoiare, non posso ripetere mai la stessa gag due volte, quindi devo cambiare continuamente. D’altronde, non mi interessa particolarmente fare fumetti realistici, perché non mi divertirei fino in fondo.

Qual è il tuo metodo di lavoro?
Mi sento prima di tutto un narratore. Per questo motivo, tutte le volte che ho scritto una storia, la considero già terminata; visto che con i disegni mi devo semplicemente divertire. Comunque, in fase di scrittura, parto da una singola idea che mi colpisce particolarmente; la sviluppo con altre trovate simpatiche; poi, definisco bene la trama e la sceneggiatura dettagliata. In un secondo momento, mi dedico al disegno, prima a matita e poi finito col pennello. Riesco a disegnare mediamente due tavole al giorno. La cosa importante, per me, è la completa sintonia tra testi e disegni; e questa è più facile da raggiungere se uno è autore di entrambi. Avrei difficoltà a illustrare le sceneggiature di qualcun altro.

La canonica domanda conclusiva: progetti per il futuro?
Oltre alle storie inedite di Rat-Man, la Collection ospiterà anche alcuni recuperi d’annata, come le serie che ho disegnato su varie fanzine. Da giugno, inoltre, scriverò le avventure delle Sturmtruppen per Il Giornalino. Sto anche preparando una miniserie fantascientifica per la Star Comics, insieme a Ade Capone: la storia si chiama Jona e sarà disegnata da Alessandro Nespolino. Ci potrebbe essere, infine, la possibilità di una pubblicazione americana per Rat-Man, visto che – tramite un amico di Treviso, Michele Foschini, che mi fa da agente – ho fatto tradurre una storia, L’araldo, da Jeff Fontana, un professore statunitense che si è offerto di darci una mano. Sembra che il materiale sia piaciuto ad alcuni editor della Caliber Press e, soprattutto, della Event Comics, la casa editrice di Joe Quesada e Jimmy Palmiotti. Un crossover tra Ash e Rat-Man… non sarebbe male…

L’intervista è stata originariamente pubblicata su Rat-Man Collection n. 6 del maggio 1998. Si ringraziano Andrea Plazzi e Diego del Pozzo per averne concesso la pubblicazione integrale.